Quando la cassa integrazione diventa smart working, così le aziende sfruttano i lavoratori…e truffano lo stato…

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Il lockdown ha aperto al mondo un’era completamente nuova a cui prima …nessuno immaginava o pensava. Anche nel modo di lavorare. Se prima la fabbrica o l’ufficio o la propria ditta erano i propri punti di riferimento, oggi sempre di più è presente nella vita lavorativa lo smart working. Ovvero, stiamo parlando di tutte quelle attività lavorative che comunque possono svolgersi dal proprio domicilio.

Nulla di male se non fosse che, della situazione qualcuno sta approfittando sfruttando le larghe maglie del Cura Italia.

Difatti, indicando la causale “Covid-19 nazionale” non si deve allegare nulla alla domanda di cassa integrazione che “può essere utilizzata per sospensioni o riduzioni dell’attività dal 23 febbraio e fino al 31 agosto” per 9 settimane.

Ad aprile i dati Inps hanno mostrato come i dipendenti in cassa fossero quasi 8 milioni in tutta Italia, non tutti però hanno un cartellino da timbrare e proprio per questo il controllo del rispetto delle regole è semplicemente impossibile. Se in una qualunque azienda manifatturiera la verifica della cassa integrazione avviene con il conteggio delle ore lavorate, per gran parte del terziario questo strumento non esiste. A maggior ragione in tempo di smart working. Le verifiche da parte degli ispettori del lavoro avvengono in azienda, ma come possono verificare il rispetto delle norme da parte di chi sta a casa?

Motivo per cui diversi lavoratori in busta paga hanno visto da un lato la trasformazione di giornate di ferie in ore di cassa integrazione e ad altri è stata comunicata la riduzione dello stipendio senza un taglio del carico di lavoro: riunioni e mail proseguono senza il diritto alla disconnessione, mentre le consegne dei progetti non vengono posticipate. Tradotto: lo smart working da strumento di welfare aziendale rischia di trasformarsi in una trappola per i dipendenti e in una possibile truffa ai danni dello Stato.

Vi sono dei dipendenti che continuano a lavorare da casa quando in teoria gli stessi starebbero percependo la cassa integrazione.

Cig e smart working non sono compatibili per legge!!!

A questo punto ci si chiede allora come mai tutto questo sia possibile.

Far lavorare un dipendente in cassa integrazione sarebbe truffa ai danni dello Stato, ma, le aziende sono consapevoli che  se è il dipendente a scegliere “liberamente” di continuare a fare quello che ha sempre fatto, a partecipare a riunioni – che non può perdere per non restare indietro – e a rispondere a mail e telefonate, il problema non c’è.

E questo perché se è il dipendente a “scegliere liberamente” di prestare la sua opera intellettuale, il capo è esonerato da ogni forma di responsabilità. “L’ha scelto lui”, si dirà poi, e quindi per lui decade ogni problema e/o forma di responsabilità.

Messa in questi termini, quindi, ecco che lo smart working si trasforma in una trappola per chi lo effettua, e una grave truffa ai danni dello Stato:

cassa integrazione e smart working.

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